Effetti dell’attività sportiva a livello neuro-biologico/ormonale

L’International Society of Sport Psychology (ISSP) ha confermato come l’attività fisica possa essere in grado di apportare sostenibili miglioramenti psicologici, sia a breve sia a lungo termine, individuabili nei benefici annoverati di seguito:

  • Un positivo cambiamento nella percezione di sé;
  • Un incremento dell’energia ed entusiasmo durante lo svolgimento delle attività di tutti i giorni;
  • Un maggior stato di prontezza mentale;
  • Un aumento del piacere per l’esercizio fisico;
  • Un aumento del buon umore e diminuzione dello stato depressivo;
  • Una maggiore fiducia in sé stessi.

Già in età infantile e poi in quella pre-adolescenziale e adolescenziale, lo sport assume un’importanza rilevante nella formazione della personalità dei giovani, trasmettendo valori di grande rilievo, quali la lealtà, il rispetto e l’amicizia fino a rappresentare un grande strumento di inclusione, che incoraggia l’incontro tra le diverse culture e riesce a produrre effetti benefici per la crescita cognitiva di quei bambini. In questo contesto, lo sport, come una vera e propria “agenzia educativa”, può e deve rappresentare un momento di gioco e di divertimento, ma anche di formazione. Il gioco e lo sport possono essere definiti dei facilitatori di relazioni e incontri, tanto che tutte le varie forme di diversità individuali vengono riconosciute e allo stesso tempo valorizzate.

Gli “ormoni del benessere”: le endorfine

Le endorfine – dette anche ormoni del benessere – sono polipeptidi prodotti dal cervello caratterizzati da una potente attività analgesica ed eccitante. La loro azione è simile alla morfina e ad altre sostanze oppiacee senza procurarne gli effetti collaterali. Nonostante questo assomigliano molto agli oppiacei per il tipo di analgesia indotta. Attualmente si conoscono quattro distinte classi di endorfine: rispettivamente “alfa”, “beta”, “gamma” e “delta”. Le endorfine sono sintetizzate nell’ipofisi, a livello surrenale e in alcuni tratti dell’apparato digerente. Questi peptidi hanno i loro recettori in varie zone del sistema nervoso centrale dove si concentrano soprattutto nelle aree deputate alla percezione dolorifica. Oltre ad aumentare la tolleranza al dolore le endorfine sono coinvolte, ad esempio, nel controllo dell’appetito e dell’attività gastrointestinale, nella termoregolazione, nella regolazione del sonno, nella regolazione del ciclo mestruale e nella secrezione di altri ormoni come GH, ACTH, prolattina, catecolamine e cortisolo.

Queste sostanze hanno quindi la capacità di regalare piacere, gratificazione e felicità aiutando a sopportare meglio lo stress. Riduzione di ansia, arrabbiature e controllo dell’appetito sono ulteriori proprietà benefiche delle endorfine che hanno tra l’altro anche un potente effetto analgesico implicato nella ridotta percezione del dolore.

La scienza ha recentemente confermato come l’interazione di queste sostanze con altri ormoni e neurotrasmettitori sia alla base di numerosi aspetti correlati alla sfera psicologica. Il rilascio delle endorfine in circolo avviene in particolari circostanze come ad esempio l’attività fisica, durante terapie analgesiche come l’agopuntura, l’elettrostimolazione e il massaggio sportivo.

Il coinvolgimento delle endorfine nel controllo delle attività nervose è stato a lungo studiato ed il ruolo di queste sostanze, sotto certi aspetti, non è ancora stato completamente chiarito.

Le endorfine, inoltre, sono importanti regolatrici dell’umore: infatti durante situazioni particolarmente stressanti il nostro organismo cerca di difendersi rilasciando endorfine che da un lato aiutano a sopportare meglio il dolore e dall’altro influiscono positivamente sullo stato emotivo. Per stimolare il rilascio di endorfine, il contatto con la natura diventa essenziale, e dunque l’esercizio fisico praticato in questo contesto non può che apportare ulteriori e duraturi benefici. Inoltre, in una condizione psicofisica rilassata, come quella nella quale si trova il corpo a contatto con l’acqua l’organismo è in grado di produrre endorfine con molta facilità ed in maggiore quantità.

E’ stato dunque dimostrato, dagli studi più recenti in materia, che il rilascio di endorfine aumenta esponenzialmente in risposta alla pratica dell’attività sportiva, soprattutto in relazione alla sua pratica regolare e in un contesto naturale.

Lo stress derivato dell’esercizio fisico, infatti, provoca un aumento della quantità delle endorfine presenti nel sangue e nel liquido cefalorachidiano (liquor o liquido cerebro spinale).

Inoltre, la capacità delle endorfine di aumentare la tolleranza al dolore – grazie al loro effetto analgesico naturale – durante l’attività fisica si traduce in una percezione minore della fatica e, non a caso, nei soggetti molto allenati della fascia del target viene riscontrata una più lenta degradazione degli oppiodi endogeni prodotti durante l’attività fisica. Infine, le endorfine sembrano promuovere un effetto positivo sulla performance sportiva migliorando la coordinazione dei movimenti e il reclutamento delle fibre muscolari. Sempre secondo quanto dichiarato recentemente dall’ISSP, praticare regolarmente sport aiuta la propria autostima e, tutto questo, influisce positivamente su alcune patologie quali osteoporosi, ipertensione, diabete e alcuni disturbi dell’umore. L’attività motoria, infatti, aumenta il rilascio di endorfine, sostanze chimiche di origine organica, che possiedono proprietà simili a quelle dell’oppio e della morfina e, di conseguenza, producono effetti analgesici ed eccitanti che incidono sull’umore. La pratica sportiva risulta necessaria dunque per stare bene con sé stessi e non solo: se da un lato questo vuol dire porsi degli obiettivi ed impegnarsi per raggiungerli con le proprie forze, dall’altro, quando coinvolge altre persone, permetterà di lavorare in gruppo, imparando a delegare e a fidarsi dei propri compagni.

Gli “ormoni del benessere”: le endorfine

L’esercizio fisico o la pratica di uno sport rappresentano per l’organismo un fattore (“stressor”) in grado di interferire ed alterare le caratteristiche e l’equilibrio funzionale dello stesso in condizioni di riposo. Infatti l’esercizio fisico può essere considerato proprio uno dei principali stressor dell’organismo umano ed animale e a cui reagisce attraverso una serie di risposte fisiologiche che coinvolgeranno principalmente il sistema neuro-endocrino ed il sistema nervoso autonomo. Quando un individuo pratica un’attività sportiva di adeguata intensità viene attivato in frazioni di secondo il sistema endocrino per garantire il corretto equilibrio funzionale durante questa nuova situazione venutasi a creare: garantire il supporto delle funzioni vitali di base e l’allertamento/attivazione generale dell’organismo, ottimizzazione della risposta biologica alla specifica tipologia di evento anche in relazione alle condizioni ambientali a cui l’organismo è esposto. I pathway ormonali coinvolti nell’esercizio fisico non si limitano alla durata dello stesso ma svolgono un ruolo determinante nelle fasi di recupero sia a breve sia a lungo termine.

Le catecolamine (adrenalina e noradrenalina) ovvero gli ormoni che aumentano più rapidamente sia in circolo sia nei tessuti in risposta ad un esercizio fisico acuto, raggiungono un picco di concentrazione nel sangue per poi tornare a livelli normali nell’arco di alcune decine di minuti.

La secrezione di questi ormoni prodotti sia dal sistema nervoso autonomo sia dalle ghiandole surrenali è funzione dell’intensità dell’esercizio fisico stesso e della quantità di acido lattico prodotto. In generale gli esercizi di tipo anaerobico sono associati a una maggiore quantità di catecolamine in circolo rispetto a quelli di tipo anaerobico. L’allenamento può modificare generalmente in meglio la risposta individuale ad uno stress per cui la secrezione individuale di catecolamine dopo uno stesso esercizio fisico acuto può risultare ridotta dopo un periodo di allenamento (adattamento). Le catecolamine inoltre agiscono su due sistemi di trasmissione: dopaminergico ed adrenergico: su quest’ultimo intervengono la noradrenalina e l’adrenalina, (su quello dopaminergico agisce invece la dopamina) e la noradrenalina riguarda il sistema nervoso, mentre l’adrenalina i tessuti periferici.

L’attività fisica dunque favorisce la produzione degli ormoni, tra cui quelli dell’adrenalina e della noradrenalina, che fanno sì che il corpo emetta energia e permettono al corpo di adattarsi allo sforzo. La produzione di ormoni durante lo sport non si differenzia perciò da quella in una risposta allo stress. Dai tempi più remoti, gli ormoni ci permettono di reagire rapidamente e di fuggire.

In relazione con l’esercizio fisico, l’allenamento determina un rilascio di catecolamine direttamente proporzionale all’intensità dello sforzo fisico. Però l’allenamento, sul lungo periodo, tende ad abbassare il rilascio di catecolamine (a parità di sforzo).

Il calo della secrezione di catecolamine, illustrato nel grafico riportato sopra, avviene perché il corpo nel tempo si adatta ad uno stesso stimolo rispondendo sempre con adattamenti via via decrescenti. Le catecolamine stimolano la lipolisi e l’aumento degli acidi grassi liberi nel sangue. Quando questo effetto avviene non per l’esercizio fisico, con relativa utilizzazione degli acidi grassi, bensì per stress di altro tipo, possono derivare effetti metabolici negativi per il mancato utilizzo degli acidi grassi liberi. Lo stress pre-gara può accentuare i livelli di catecolamine circolanti ed i loro effetti. Sul piano delle risposte neuro-endocrine all’attività motoria svolta dall’atleta, si tende a distinguerne due tipi fondamentali: risposte ormonali all’esercizio fisico acuto, ovvero modificazioni transitorie non stabili ascritte ad un singolo esercizio o fase dell’allenamento o competizione; e risposte ormonali all’esercizio fisico cronicamente svolto, ovvero modificazioni stabili (correlate alla persistenza dell’allenamento) che possono presentarsi dopo la pratica di un adeguato programma di allenamento (ripetizione programmata e continuata nel tempo di singole sedute di esercizi fisici. Per quanto riguarda il sistema endocrino, è chiaro come lo stato ormonale basale di un atleta che si allena non sarà lo stesso dello stesso individuo non allenato o meno allenato. Un allenamento calibrato sembra difatti in grado di ottimizzare le risorse biologiche necessarie a supportarlo, di condurre ad una risposta ormonale più efficace e “qualitativa” a livello periferico (recettoriale).

Il risultato riscontrato confrontando casi controllo con individui allenati in seguito allo stesso esercizio acuto (stesso carico di lavoro), è una minor concentrazione di ormoni rilasciati ma una maggior efficacia degli stessi.

Ormoni della “scelta felice”: serotonina e dopamina

Durante la pratica sportiva, numerosi studi hanno dimostrato che vengono anche prodotti i cosiddetti ormoni della felicità, responsabili del cosiddetto «runner’s high» (una specie di sensazione di euforia) che si presenta soprattutto presso i corridori di lunga distanza e che designa uno stato d’animo euforico indolore. In questo stato gli sportivi hanno la sensazione di poter correre quasi illimitatamente. Questo effetto finora è stato soprattutto attribuito alle endorfine ma contemporaneamente si parte però dal presupposto che sono gli ormoni della felicità come la dopamina e la serotonina a diminuire la percezione del dolore. Gli studi più recenti hanno confermato che serotonina e dopamina svolgono un ruolo inaspettato nel cervello per prendere decisioni.

Per la prima volta gli scienziati hanno misurato con precisione come cambiano i livelli di serotonina e dopamina nel cervello umano, scoprendo inaspettatamente che intervengono nei processi decisionali. I neurotrasmettitori serotonina e dopamina – conosciuti per essere coinvolti nei circuiti del piacere e perché le loro alterazioni sono alla base di disturbi mentali e neurologici (per esempio la depressione) – servono anche a prendere decisioni. Lo hanno scoperto inaspettatamente i ricercatori della Wake Forest School of Medicine e della Virginia Tech, che per la prima volta sono riusciti a misurare come cambiano i livelli dei due neurotrasmettitori nel cervello umano. Secondo gli autori la ricerca, descritta su Neuron, è un punto di svolta per capire meglio il nostro cervello e l’effetto di farmaci di uso comune che agiscono su serotonina e dopamina.

Per misurare come cambiano nel tempo i livelli di serotonina e dopamina nel cervello, i ricercatori hanno utilizzato dei nuovi microelettrodi in fibra di carbonio impiantati in profondità del cervello di 5 persone (nel nucleo striato). Si tratta di 2 pazienti affetti da morbo di Parkinson e 3 da tremore essenziale che avevano già in programma un intervento per l’impianto di elettrodi per la stimolazione cerebrale profonda, un trattamento effettuato per ridurre i disturbi motori delle due condizioni neurologiche. Durante l’operazione i pazienti erano svegli e giocavano a una specie di videogame ideato apposta per testare le loro funzioni cognitive, in particolare quelle percettive e decisionali: guardando una nuvola di puntini dovevano dire in quale direzione si fossero mossi rispetto a un punto di riferimento e se il senso fosse orario o antiorario. Il test è stato ripetuto 200-300 volte e saltuariamente è stato chiesto alle persone anche se fossero sicure delle loro risposte. Grazie alla voltammetria ciclica a scansione rapida, una tecnica elettrochimica usata per la prima volta sull’essere umano, gli scienziati sono riusciti a misurare i livelli di serotonina e dopamina con una precisione (in termini di volume e tempistiche) mai raggiunta finora, scoprendo appunto uno schema tipico del processo decisionale. In particolare è emerso che la dopamina aumenti nelle fasi che precedono la scelta, mentre la serotonina diminuisce. Solo quando i livelli si assestano c’è la scelta. Dalle misurazioni è emerso inoltre che quando un paziente era indeciso, incerto, i livelli di serotonina aumentavano (e viceversa). “Questi neurotrasmettitori”, ha confermato Read Montague della Virginia Tech, “agiscono simultaneamente e integrano attività su scale temporali e spaziali molto diverse da quelle previste”.

Questo studio fa luce sul ruolo che questi neurotrasmettitori svolgono nell’apprendimento, nella plasticità cerebrale e nel modo in cui percepiamo l’ambiente”, ha commentato Kenneth T. Kishida, tra gli autori della ricerca. “Ora abbiamo una visione più dettagliata di come il nostro cervello costruisce ciò che percepiamo, di come usa quelle percezioni per prendere decisioni e interpretare le conseguenze delle scelte che facciamo. La dopamina e la serotonina sembrano essere fondamentali in tutti questi processi. È importante sottolineare che studi come questo aiuteranno noi e altri scienziati a sviluppare una migliore comprensione di come le droghe o farmaci come gli inibitori della ricaptazione della serotonina (usati per trattare alcuni disturbi mentali, ndr) influenzano la cognizione, il processo decisionale e il loro impatto su condizioni psichiatriche come la depressione”.

Irisina, “l’ormone degli sportivi”

Il suo nome deriva della dea greca Iris, che con le sue grandi ali d’oro portava agli uomini i messaggi di Zeus. L’irisina infatti, una volta rilasciata dal muscolo, circola nel sangue mettendo in comunicazione i diversi tessuti del nostro organismo e producendo benefici che vanno oltre la capacità di bruciare i grassi.

Recentemente, un gruppo di ricercatori della University of Florida Health hanno cercato di comprendere meglio come l’irisina sia capace di convertire le cellule di grasso bianco (che immagazzinano le calorie) in cellule di grasso bruno che bruciano energia.

I ricercatori hanno raccolto cellule adipose donate da 28 pazienti sottoposti a chirurgia di riduzione del seno. Dopo aver esposto i campioni all’irisina, hanno trovato un aumento quasi quintuplicato delle cellule che contengono una proteina nota come UCP1 che è cruciale per la “bruciatura” dei grassi.

I risultati, pubblicati sull’American Journal of Physiology – Endocrinology and Metabolism, mostrano che l’irisina può aiutare a combattere l’obesità e il diabete e questo studio è ritenuto il primo del suo genere ad aver esaminato gli effetti di quest’ormone sul tessuto grasso umano e sulle cellule adipose.

Sin dalla sua scoperta nel 2012 ad opera di Bruce Spiegelman (un biologo cellulare della Harvard Medical School), l’irisina è stata oggetto di una vasta gamma di studi che hanno dimostrato come, oltre alla capacità di bruciare grassi ed evitare il formarsi di tessuto adiposo, l’ormone dello sport produce molti altri benefici per la salute, tra cui migliorare la funzione cardiaca aumentando i livelli di calcio richiesti per le contrazioni cardiache e ridurre l’accumulo di placca arteriosa prevenendo così l’aterosclerosi.

Le scoperte sul ruolo dell’irisina nella regolazione delle cellule di grasso fanno luce su come l’allenamento aiuti le persone a rimanere magre, afferma Li-Jun Yang, professore di ematopatologia nel dipartimento di patologia, immunologia e medicina di laboratorio dell’UF College of Medicine. Ed ancora, lo stesso Yang: “invece di sperare in un farmaco miracoloso, puoi aiutare te stesso cambiando il tuo stile di vita. L’esercizio produce più irisina, che ha molti effetti benefici tra cui la riduzione del grasso, ossa più forti e una migliore salute cardiovascolare.”

Yang e i suoi collaboratori hanno scoperto che l’irisina è capace di ridurre dal 20 al 60% il numero di cellule adipose mature.

I ricercatori ritengono che l’irisina sia capace di ridurre l’accumulo di grasso nel corpo attraverso una complessa reazione a catena che ostacola un processo mediante il quale le cellule staminali indifferenziate vengono trasformate in cellule adipose. L’irisina sembra anche provocare simultaneamente la differenziazione delle cellule staminali nelle cellule che formano l’osso.

In sintesi, i benefici dell’irisina:

  • brucia-grassi: converte le cellule adipose bianche in cellule brune attraverso il “browning”, impedendo il formarsi di grasso
  • produzione di nuovo tessuto osseo, combattendo così l’osteoporosi;
  • sviluppo di nuove cellule nervose ed incremento del numero di sinapsi, migliorando memoria, apprendimento e capacità cognitive.

Secondo alcune indagini da laboratorio si è proprio evidenziato che durante l’attività fisica aumentano i livelli di irisina nel cervello, stimolando la memoria e l’apprendimento e recenti ricerche fatte sulle cavie e poi sull’uomo, hanno individuato l’importanza dell’irisina ai fini del metabolismo, bruciando i grassi e facendo dimagrire. Infine, ricerche italiane hanno evidenziato la capacità di questo ormone nella crescita del tessuto osseo.

L’irisina è stata scoperta nel 2012, dal ricercatore statunitense Spiegelman che dopo aver riscontrato il suo sviluppo sulle cavie di laboratorio, non ne evidenziò sull’uomo, cosicché la ricerca venne abbandonata. Venne ripresa in seguito, cambiando metodo di ricerca e con una tecnica chiamata “spettrometria di massa“, si evidenziò la presenza dell’ormone in 10 pazienti di 25 anni. I ricercatori americani hanno condotto l’esperimento sottoponendo alcuni giovani ad attività fisica per alcune ore a settimana per la durata di tre mesi. Altri ragazzi, al contrario, hanno condotto una vita sedentaria per lo stesso periodo. A conclusione dell’esperimento, si è evidenziata la quantità di irisina nel sangue, che era bassissima in coloro che non avevano fatto attività fisica, viceversa, era molto alta negli altri ragazzi. Per questo l’irisina è stata denominata l’ormone dello sport, collegando i benefici dell’attività fisica al metabolismo e al sistema cardiovascolare. Studi effettuati dall’equipe americana del Baylor College of Medicine, hanno evidenziato i benefici sul cervello di una sostenuta attività fisica. Sono stati sottoposti a dei test dei soggetti dopo che avevano fatto corsa a piedi e il loro livello intellettivo era maggiore di coloro che avevano condotto vita sedentaria.

Si è arrivati, perciò, alla conclusione che l’esercizio fisico aiuta il cervello nell’apprendimento e potenzia la memoria ed il ragionamento. Dal 2015, l’ormone irsina è stato oggetto di diversi studi internazionali, ma anche italiani e le prove in ambito di ricerca, quindi, si fanno sempre più promettenti e solide, ma per chiamarle “evidenze” dobbiamo ancora aspettare nuovi studi.

Gli effetti benefici della pratica sportiva in ambienti acquatici

La presenza di associazioni sportive, all’interno delle nostre comunità, costituisce, dunque, un’incredibile risorsa educativa, capace di riprodurre su un piano simbolico la realtà della vita, che è fatta di impegno, sacrificio, sofferenza, lotta, ma anche soddisfazione, gioia, felicità e speranza, collegandosi al concetto, di più recente formazione, di far parte di una “comunità educante”.

Dunque, se lo sport si configura come il traguardo di un percorso educativo, che inizia da bambini con il gioco, fino ad evolvere in quello che riconosciamo come attività sportiva vera e propria, gli educatori e gli insegnanti sono figure chiave per far sì che questo avvenga. Sono loro, infatti, che ogni si impegnano a trasmettere ai ragazzi i fondamenti di una cultura basata sul rispetto, soprattutto verso l’avversario, il senso di responsabilità e la negazione di qualunque forma di di violenza. Sinonimo di impegno e di costanza, l’attività sportiva favorisce una crescita equilibrata, salvaguardando il diritto di sbagliare, senza dover rinunciare alla realizzazione dei propri obiettivi.

Se da una parte lo sport viene riconosciuto come un importante strumento di educazione per i ragazzi, dall’altra, sin dall’infanzia, rappresenta uno strumento davvero utile per favorirne la crescita e garantire al corpo uno stato di salute. Inoltre, il bagaglio di esperienze fornito dall’attività sportiva, se praticata come descritto in precedenza, non riguarderà soltanto la sfera motoria, ma anche quella psicologica. Per tale motivo, un adulto che lo ha praticato fin da bambino sarà maggiormente predisposto a praticare attività sportiva anche in età adulta, incoraggiando i propri figli a fare lo stesso.

Recenti studi scientifici concordano nel dichiarare che l’attività fisica in acqua apporti benefici psicofisici, come dichiarato, ad esempio, per le attività di immersione nel “Children and diving, a guideline” pubblicato nel 2020 a cura di Buwalda, Querido e van Hulst.

L’avere a disposizione di tutti strutture sportive pubbliche sul territorio diviene quindi fondamentale, dal momento che la letteratura scientifica ha ampiamente dimostrato quanto la pratica sportiva, specialmente in acqua, apporti benefici fisici e mentali, anche sul target di riferimento del progetto. Non è necessario essere dei campioni olimpionici per praticare sport in acqua efficacemente, dal momento che è stato dimostrato che anche l’attività fisica non agonistica che comporti però un’attività muscolare prolungata, favorisce la sollecitazione dell’attività metabolica attiva e la messa in circolo di sostanze chimiche portatrici di rilassamento e benessere, come le endorfine.

In mancanza di spazi blu, la fruibilità delle piscine e di strutture attrezzate per svolgere sport acquatici, ricopre un ruolo determinante per l’apprendimento del nuoto in età infantile ed in tutti quei casi in cui sia importante svolgere esercizi per cui l’acqua rende meno traumatico il movimento, addirittura andando ad attenuare la resistenza dovuta alla forza di gravità.

Possiamo riassumere in questa prima parte, alcune delle principali caratteristiche benefiche degli sport acquatici:

  • mettono in moto tutti i muscoli del corpo: è fortemente raccomandata per la tonificazione muscolare, la perdita di peso dovuta alla stimolazione del metabolismo attivo, il miglioramento della respirazione e dei dolori alla schiena;
  • aiutano a migliorare l’attività cardiaca: l’attività fisica, favorita dalla forza esercitata dall’acqua permette di svolgere un’attività aerobica dolce ma intensa. Questo si traduce nel miglioramento della capacità contrattile del muscolo cardiaco, conseguentemente anche del miglioramento della circolazione sanguigna, di una migliore resistenza allo sforzo con abbassamento del numero di battiti e una maggiore elasticità delle pareti arteriose;
  • costituiscono un allenamento efficace a sforzo fisico ridotto rispetto agli sport terrestri: è stato dimostrato che essere immersi almeno sino alle spalle diminuisce il carico derivante dalla massa corporea di circa l’8%, potenziando la forza muscolare e la resistenza. Con l’azzeramento del rischio di traumi e contusioni per merito dell’azione protettiva della densità dell’acqua, rendendo gli sport acquatici adatti a tutte le età;
  • contribuiscono al benessere psicofisico: l’effetto calmante dell’acqua, e il rilascio di endorfine, favoriscono un sensibile miglioramento del tono dell’umore. Per coloro che soffrono di malattie croniche – come, ad esempio, la fibromialgia – la pratica sportiva acquatica contribuisce nel  diminuire gli stati emotivi legati all’ansia: in particolare modo, gli esercizi svolti in acqua calda riducono la depressione e migliorano l’umore ed inoltre, un ambiente caldo-umido giova alla salute di chi soffre di asma.

Lo sport quindi rende più “intelligenti” e più sport diversi si praticano e meglio è, perché si sviluppano aree cerebrali diverse, come ad esempio nel nuoto in cui si sviluppano maggiormente capacità propriocettive e quindi vie afferenti sensitive. In uno studio proposto da Gogtay e collaboratori del National Insitute of Mental Health di Bethesda, apparso sulla rivista PNAS nell’aprile 2004 (1), è illustrato il più lungo studio morfo-funzionale e dinamico mai effettuato, dello sviluppo del cervello umano, esaminato in ragazzi dai 4 ai 21 anni d’età, osservati per un periodo di dieci anni. Lo studio ha visualizzato lo sviluppo della materia grigia corticale usando delle mappe quadridimensionali in sequenze temporali. Sono stati esaminati 13 bambini sani con Risonanza Magnetica Nucleare ogni 2 anni per 10 anni. Ne è risultata una sequenza d’immagini che sono state sovrapposte come in un film.

Immagine laterale destra e visione superiore del cervello umano. Sequenza dinamica della maturazione della materia grigia della superficie corticale dai 4 ai 21 anni. La barra colorata sulla destra indica una rappresentazione cromatica in unità di volume di materia grigia. In rosso le zone della corteccia più spesse, in blu quelle più sottili. Si dimostra quindi che la maturazione del cervello porta ad un assottigliamento della materia grigia con attivazione di circuiti neuronali utili ed eliminazione di materiale neuronale non utilizzato nell’età evolutiva. Da questo studio sono emerse nuove informazioni sul cervello umano:

– la corteccia d’ordine superiore matura dopo che si sono sviluppate le aree somato-sensoriali e la corteccia visiva integrandone le loro funzioni;

– le aree cerebrali filogeneticamente più antiche maturano prima delle più recenti.

– la densità della materia grigia aumenta in età prepuberale con aumento delle ramificazioni sinaptiche e diminuisce notevolmente subito dopo, in età post-puberale.

Questo studio ha anche permesso di capire qualche cosa di più sull’insorgenza della schizofrenia e dell’autismo in età pediatrica.

 

In un altro studio, anch’esso apparso sulla rivista PNAS del maggio 2004, Molteni e collaboratori, dell’Università della California, hanno studiato dei topi, dimostrando come l’attività fisica determini la produzione di fattori di crescita dei neuroni che possono riparare dei danni neuronali. Si sono suddivisi i topi in due gruppi, uno definito “sedentario” in cui gli animali vivevano normalmente in gabbie, e l’altro definito dei ”topi sportivi” in cui era stata messa nella gabbia una ruota che gli animali potevano utilizzare a piacimento. Questo studio ha permesso di verificare che l’attività fisica favorisce la rigenerazione di fibre nervose mediante una proteina prodotta durante gli esercizi sulla ruota: la neurotrofina. La cosa interessante è che la produzione di questa proteina si ha come conseguenza dell’attivazione dei neuroni sensitivi, in altre parole quelli che comunicano informazioni al cervello dei movimenti del proprio corpo nello spazio, e non di quelli motori, rilevando l’importanza dell’”ascolto” del corpo durante l’esercizio fisico. Questi fattori di crescita neuronali verosimilmente agiscono anche sul cervello interferendo coi processi d’invecchiamento e degenerazione dovuti all’età. Ogni giorno vengono pubblicate su diverse riviste scientifiche d’alto livello, indicazioni sul dato che l’attività fisica, oltre al benessere generale che produce, abbia un notevole effetto positivo sul sistema nervoso centrale ed in una società che tende ad invecchiare sempre più, l’attività fisica sportiva dovrebbe diventare un’abitudine irrinunciabile.

 

La bellezza del mondo in cui viviamo, nel quale i confini sono facilmente valicabili grazie alla tecnologia, molto spesso viene sottovalutato il rischio che i bambini si adagino nell’ozio e alla pratica di una vita sedentaria: televisione, tablet, cellulare, console e videogame costituiscono presenze costanti nelle nostre vite e, se da una parte esse assolvono a funzioni costruttive o irrinunciabili, come trasmettere notizie, mettere in contatto chi non è vicino fisicamente, specialmente in questo periodo di pandemia globale, dall’altro possono indurre i bambini alla sedentarietà, fino a collocarsi tra i fattori di rischio del c.d. Gaming Disorder. Sebbene non si debba creare eccessivo allarmismo, la vita sedentaria può rappresentare un campanello d’allarme per i genitori: uno stile di vita sedentario e lontano da spazi verdi e blu, associato a cattive abitudini alimentari, può costituire una delle principali cause dell’obesità infantile.

Dunque, possiamo affermare che attraverso una pratica sportiva regolare e controllata, possibilmente a contatto con la natura ed in particolare con l’acqua, le fasce di popolazione individuate potranno avere l’opportunità sviluppare la capacità di muoversi in modo corretto ed armonico, imparando sempre di più sul proprio corpo, su un piano esperienziale, cercando di interpretare meglio le reazioni, i limiti e le potenzialità dell’organismo, favorendo una maggiore consapevolezza di sé stessi e del proprio benessere psicofisico.

 

Non inducete i ragazzi ad apprendere con la violenza e la severità, ma guidateli invece per mezzo di ciò che li diverte” – Platone